La pandemia causata dal Covid-19 ha inevitabilmente indotto i vertici del Governo Italiano ad assumere misure restrittive per contenerne la diffusione, con evidenti ripercussioni sull’economia Nazionale e sul mondo del lavoro.
Per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Coronavirus, che ha certamente causato effetti cataclismici nel mondo del lavoro, il Governo ha varato un articolato pacchetto di misure rivolte alle imprese e ai professionisti (smart working, ammortizzatori sociali, sospensione versamenti delle imposte, sospensione isa, sospensione accertamenti e cartelle, aiuti e bonus alle imprese, etc.), al fine di sostenere e cercare di garantire un’adeguata ricapitalizzazione.
Tuttavia, nell’ipotesi in cui dette misure non dovessero risultare efficienti per la ripresa economica del Paese, potrebbe prefigurarsi – ai sensi dell’art.3 della L. 604/1966 – il cosiddetto licenziamento per giustificato motivo oggettivo (per impossibilità sopravvenuta per cause non imputabili al datore di lavoro), determinato “da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Non è mancato, altresì, l’intervento del Governo in merito all’istituto del licenziamento; infatti il D.L. 18/2020, c.d. “Cura Italia”, ha introdotto una serie di ipotesi in cui è fatto temporaneamente divieto al datore di lavoro di intraprendere procedure di licenziamento collettivo, nonché di intimare licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo.
Una tra le più importanti misure sotto il profilo giuslavoristico è l’art. 46 del Decreto, che riguarda la preclusione, per i datori di lavoro, ad intraprendere procedure di licenziamento collettivo ai sensi della L. 223/1990, nonché ad intimare licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, ai sensi dell’art. 3 della L. 604/1966, a partire dalla data di entrata in vigore del Decreto stesso, 17 marzo 2020, e per i successivi 60 giorni.
Tale norma ha destato particolare perplessità circa l’incoerenza tra la sua rubrica, che menziona le procedure di “impugnazione dei licenziamenti”, ed il testo dell’articolo che invece riguarda i licenziamenti veri e propri e non le impugnazioni (superata con i correttivi apportati nella fase di conversione come si seguito si dirà).
In sintesi, a partire dalla data di entrata in vigore del Decreto, ossia il 17 marzo 2020 (così come sancito ex art. 127) e per i successivi 60 giorni e cioè, fino al 15 maggio 2020 compreso: i) il datore di lavoro non può avviare nuove procedure di licenziamento collettivo; ii) sono sospese le procedure di licenziamento collettivo pendenti e avviate dopo il 23 febbraio 2020; iii) a prescindere dal numero dei dipendenti in forza, il datore di lavoro non può effettuare alcun licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Ne discende che, in presenza di una norma imperativa, il licenziamento per “giustificato motivo oggettivo” intimato nel periodo ricadente nel divieto sopra enunciato, deve considerarsi affetto da nullità “virtuale”, dal momento che la nullità non è prevista esplicitamente dalla Legge.
Giova evidenziare, altresì, che il citato assunto è in gran parte teorico, dal momento che seppur si dovesse superare il predetto periodo emergenziale, la sussistenza di una crisi economica, per certi versi inarrestabile, consentirebbe al datore di lavoro di intimare ai propri dipendenti un licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Tutto ciò trova fondamento nell’articolo 41 della Costituzionale, rubricato “L’iniziativa economica privata è libera”, secondo il quale è costituzionalmente garantita per il datore di lavoro la libera organizzazione dell’impresa, tenendo conto pur sempre di quelli che sono i principi di correttezza e buona fede.
Va necessariamente ricordato, però, che affinché il licenziamento per giustificato motivo oggettivo sia legittimo è necessario che sussistano alcuni elementi essenziali, quali: i) comprovata sussistenza della motivazione alla base della risoluzione del rapporto di lavoro; ii) deve sussistere un nesso di causalità tra la motivazione addotta e il licenziamento; iii) il datore di lavoro, sul quale ricade l’onere della prova, deve dimostrare di non essere nella condizione di poter impiegare lo stesso lavoratore in mansioni differenti, c.d. onere di repêchage.
Nell’ipotesi in cui il licenziamento dovesse intervenire dopo il citato divieto, il lavoratore dipendente avrà comunque la possibilità di impugnarlo al fine di far accertare la legittimità dello stesso.
In ogni caso l’impugnativa deve sempre specificare le motivazioni che hanno spinto il lavoratore ad opporsi al licenziamento, in quanto, come ribadito dalla recentissima pronuncia della Corte di Cassazione del 2 gennaio 2020, n.8, “la disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa (…), non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati; ne consegue che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte”.
Il 29 aprile 2020 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la Legge n. 27/2020 di conversione del Decreto “Cura Italia”, recante “Misure di potenziamento del sistema sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse alla emergenza epidemiologica da Covid-19”.
Nella fase di conversione sono state apportate alcune modifiche tra le quali, per quello che qui interessa, la rubrica dell’art. 46 del Decreto “Cura Italia”, inizialmente denominata “Sospensione delle procedure di impugnazione dei licenziamenti”, sostituita con l’attuale formulazione “Disposizioni in materia di licenziamenti collettivi e individuali per giustificato motivo”.
Nella sostanza resta fermo il divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo fino al prossimo 16 maggio.
All’uopo è opportuno evidenziare la bozza del decreto maggio che, tra le altre novità, prevede la prosecuzione della sospensione dei licenziamenti rispetto alla data inizialmente fissata dall’articolo 46 della legge n. 27/2020 (conversione del decreto Cura Italia Decreto legge 18/2020).
Infatti, la bozza di decreto maggio blocca i licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo, anche plurimi, fino al prossimo 17 agosto.
Rilevanti le seguenti novità: (i) l’azienda che ha licenziato un lavoratore per giustificato motivo oggettivo potrà applicare il “diritto di ripensamento” anche oltre il termine dei 15 giorni senza sanzioni e oneri; (ii) la sospensione sino al 17 agosto della procedura conciliativa prevista in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo nelle aziende con organico superiore ai 15 dipendenti.
Si tratta di una procedura obbligatoria da effettuarsi prima del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione dell’Ispettorato del lavoro e prevista dall’articolo 7 della legge n. 604/1966, così come modificato dalla legge 92/2012 (Riforma Fornero).
Quest’ultima procedura attivabile esclusivamente per i lavoratori tutelati dall’ex articolo 18 della Legge 300/1970 (tutela reale) e non anche dai lavoratori a tutele crescenti, per i quali è prevista, da parte del datore di lavoro, una eventuale “offerta conciliativa” postuma all’emissione del provvedimento espulsivo secondo i dettami dell’articolo 6 del Decreto Legislativo n. 23/2015.
In conclusione, si auspica che il Legislatore cerchi di colmare le lacune segnalate dai commentatori e dalle parti sociali, al fine di contenere la mole di contenzioso giuslavoristico che certamente sorgerà subito dopo l’emergenza sanitaria.
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto” (art. 4 Cost.)… pertanto non resta che attendere il testo definitivo del citato Decreto Maggio!